Ho una voglia pazza di… cioccolata in tazza!
In questo weekend freddo e uggioso non c’è niente di meglio di una bella cioccolata calda, un buon libro e una copertina morbida, vero?
Ma cosa facciamo se non abbiamo le gocce per preparare la cioccolata calda?
La voglia di uscire sotto la pioggia non c’è e in dispensa abbiamo solo del cacao in polvere.
Non disperate!
Maya e Aztechi chiamavano la cioccolata calda Xocoatl e la ottenevano dalle preziose fave di cacao schiacciate assieme a fagioli, spezie e acqua.
Dopo la scoperta dell’America e la diffusione del cacao in Europa, la ricetta fu cambiata per adattarsi ad altri gusti. Non si usarono più i fagioli e si aggiunse lo zucchero, unito a volte a vaniglia, cannella o anice. I britannici sostituirono l’acqua con il latte e la cioccolata calda divenne una bevanda prelibata, riservata solo a persone facoltose.
Potete preparare anche voi un’ottima cioccolata in tazza con del cacao 100% in polvere, del latte o dell’acqua e un po’ di zucchero. Se volete una cioccolata molto corposa, usate un addensante naturale come la fecola di patate o l’amido di mais (maizena).
Mettete il cacao (2-3 cucchiaini in base ai vostri gusti), ed eventualmente un cucchiaino di addensante, in un pentolino.
Unite a freddo il latte o l’acqua, facendo attenzione a non formare grumi, quindi spostate il composto sul fuoco a fiamma bassa.
Aggiungete anche lo zucchero, se lo desiderate, e mescolate continuamente per circa cinque minuti, o fino a quando non si sarà addensato a piacere.
Noi vi consigliamo di provare con un gusto che saprà sorprendervi: cacao in polvere Pacari Ecuador Zenzero Raw Bio, ricco di vitamine e antiossidanti.
Buon week end!
Si fa in fretta a dire… tavoletta
Anche se la domesticazione del Theobroma Cacao, la pianta del cacao, risale a quasi 3.500 anni a.C., l’uomo per la maggior parte della sua storia ha bevuto la cioccolata e la tavoletta di cioccolato è un’invenzione piuttosto recente.
Nel 1847 è stato un inglese, Joseph Fry, a capire che unendo cacao macinato, zucchero e burro di cacao si otteneva una pasta che poteva essere modellata. È quindi della Fry & Sons il primato di aver venduto la prima tavoletta di cioccolato della storia.
Chocolate Chapon
Patrice Chapon, fondatore nel 1986 di Chocolat Chapon e pluripremiato Maestro Cioccolatiere parigino, è un entusiasta, non una semplice persona con una grande passione, perché la tavoletta di cioccolato è per lui l’incarnazione del sogno di regalare il desiderio, e ogni quadratino è un frammento stesso di quel desiderio.
Patrice Chapon è un perfezionista e per creare il suo cioccolato bean-to-bar ha voluto ripristinare le macchine del secolo scorso nella sua Manufacture de Cacao, per realizzare il cioccolato in modo tradizionale.
Alla ricerca del cioccolato ideale, Patrice Chapon modella ogni varietà di cacao, che seleziona personalmente dai produttori scovando veri e propri tesori, a seconda dei suoi desideri e delle sue ispirazioni.
Anche le sue confezioni sono frutto di una ricerca attenta, sempre in armonia con il cioccolato che devono raccontare.
Patrice Chapon – da sempre alla ricerca della maggior trasparenza, sostenibilità e qualità – nel 2010 ha deciso di creare una linea di tavolette di cioccolato gourmet. Creare una tavoletta di alta gamma è un’operazione lunga che richiede grande ricerca e sperimentazione, la giusta attrezzatura e anzitutto le migliori materie prime.
Per questo Chapon ha selezionato personalmente varietà di cacao tra le più rare al mondo. Dai pregiatissimi cacao del Sud America e del Madagascar fino a quello ancora semi sconosciuto delle Isole Fiji.
Chapon ci regala un viaggio sensoriale che non mancherà di sorprendere anche i palati più esigenti.
Friis-Holm Chocolate
Friis-Holm Chocolate è un’azienda danese artigianale di cioccolato bean-to-bar, nata nel 2008, che opera in sintonia con i valori sostenibili: micro ecologia, singole origini di cacao autoctone e un modello di commercio diretto.
Mikkel Friis-Holm crede che sia importante comprendere un prodotto per liberare il suo potenziale e pone particolare attenzione alle tavolette di cioccolato in purezza, per questo ha partecipato in Nicaragua al progetto per ritrovare e salvaguardare le specie autoctone dimenticate da secoli. Friis-Holm è anche molto attento alla sperimentazione: è stato il primo a realizzare con successo due tavolette di cioccolato identico che differisce solo nel processo di fermentazione e a realizzare una tavoletta con la cosiddetta Bad Fermentation.
Mikkel Friis-Holm ha partecipato a un progetto affascinante in Nicaragua, in collaborazione con scienziati stranieri e agricoltori locali, per l’individuazione e la valutazione di filamenti di DNA di piante di cacao autoctone da tempo latenti in piccoli appezzamenti del paese.
Nel corso degli ultimi decenni, soprattutto a causa della globalizzazione, il cacao dell’America Centrale è andato perduto a favore del caffè economicamente più redditizio. Tuttavia l’uso storico del cacao ha un legame più forte con queste terre risalenti alla civiltà Maya più di 3000 anni fa.
Una particolare attenzione viene messa ai fenotipi specifici che sono nativi a determinati da micro ecologie.
Al momento Friis-Holm sta lavorando con 7 differenti varietà autoctone dell’America Centrale, principalmente del Nicaragua e Guatemala. Nel 2015 la International Cocoa Organization ha riconosciuto il Cacao del Nicaragua come un Cacao Fine 100%. Solo 9 paesi nel mondo hanno questo riconoscimento.
Cacao: pianta della discordia o di glorificazione rituale?
Siamo felici di ospitare oggi l’interessante articolo di Sacha Guerra che ci descrive un aspetto del Cacao molto particolare e poco conosciuto: il suo burrascoso rapporto iniziale con la Chiesa cattolica.
Il 1492 è una data che segna una svolta nella Storia: Cristoforo Colombo scopre l’America, il mondo si allarga attraverso le grandi scoperte geografiche e il Cristianesimo trova nuove vie per espandersi.
Purtroppo questo comporta anche l’attuazione del primo genocidio documentato dell’umanità. I popoli precolombiani quali Aztechi, Inca e Maya soccombono sotto i colpi di spada e d’archibugio e per le malattie epidemiche diffuse nel nuovo continente dai Conquistadores e dai missionari spagnoli, colpevoli della distruzione culturale amerinda attraverso il rogo dei loro manoscritti.
La conquista del Nuovo Mondo però ha anche aspetti positivi come l’introduzione nel Vecchio Mondo di nuove specie animali e vegetali. Accanto a pomodori, patate, tabacco, mais, tacchini e pappagalli, vi è anche il cacao.
Come oggi sappiamo, dalla pianta del cacao si ricava il cioccolato. Lo conosciamo nei suoi molteplici gusti: fondente, al latte, bianco ecc. Ma se è il re dei dolci per antonomasia, è sorprendente scoprire che tale alimento in passato sia stato guardato con sospetto dalla Chiesa cattolica, in quanto ritenuto tentatore e contro i principi della Quaresima.
Già dal suo arrivo nel Vecchio Continente, il cacao ebbe uno straordinario successo anche se il clero cattolico si divise in due sulla gustosa novità.
Il dissidio scoppia tra fine Cinquecento e inizio del Seicento: la cioccolata è un cibo o è una bevanda? E dunque infrange oppure no il principio medievale liquidum non frangit (le bevande non spezzano il digiuno ecclesiastico), relativo agli alimenti della Quaresima? [1]
Su tale problema la Chiesa si spacca letteralmente in due.
Il consumo di cioccolata, allora sotto forma di tisana, viene ferocemente condannato dagli ordini religiosi degli Agostiniani e dei Domenicani, perché i soldi per l’acquisto di cacao potrebbero invece essere usati per opere pie, dato l’alto costo del prodotto, mentre è favorito dall’ordine dei Gesuiti [2] [1].
Il dibattito si anima per il fatto che il cacao è un alimento molto burroso e “peccaminoso” grazie all’estasi creata dal suo gusto: questo secondo Francisco de Quevedo [5], scrittore e poeta spagnolo.
La polemica è talmente forte che nel 1636 si arriva a una vera e propria disputa tra uomini dotti. Per l’erudito spagnolo Antonio de Léon Pinelo, nato nei possedimenti della Nuova Spagna e autore di Questione morale se il cioccolato rompa il digiuno ecclesiastico, il consumo di cioccolata non è da considerarsi un peccato nella Quaresima, perché una mezz’oncia non infrange tale digiuno; tuttavia egli afferma anche che la bontà eccessiva potrebbe portare a debolezza morale [1].
A sostegno di Pinelo vi è il gesuita Antonio Escobar y Mendoza, il quale nella sua Teologia morale afferma che il consumo di cioccolata non è un peccato sempre nella quantità di una oncia, più una mezza oncia di zucchero, sciolta in acqua. [2] [3].
Per contro vi è la posizione del medico Juan de Cardenas, che definisce il cacao un alimento vero e proprio a causa del suo elevato apporto calorico anche quando è in forma liquida [1].
Di posizioni più moderate sono il cardinale Francesco Maria Brancaccio e il cardinale Juan de Lugo, entrambi degustatori della bevanda.
Ciò che è certo è che paradossalmente la cioccolata si diffonde e conquista anche la Curia romana [1] [3].
Alla domanda se il consumo di cioccolato sia dannoso o utile, la risposta è la più ovvia: dipende dall’uso che se ne fa.
Il cioccolato è un alimento e potremmo citare le parole del grande Primo Levi: sei abbastanza dotto da saper valutare se dall’uovo che stai covando sguscerà una colomba o un cobra o una chimera o magari nulla [4].
Ringraziamo ancora Sacha Guerra e invitiamo chi voglia raccontare storie inusuali sul cacao o sugli altri prodotti presenti in Aruntam a spedire i propri scritti a info@aruntam.com.
Buon cioccolato a tutti!
Fonti: https://unapennaspuntata.wordpress.com/2010/08/02/pillole-di-storia-la-chiesa-e-il-cioccolato/[1] -http://it.aleteia.org/2014/02/19/qual-e-il-ruolo-della-cioccolata-nella-storia-della-chiesa/[2] – http://www.blitzquotidiano.it/libri/la-cioccolata-cattolica-si-puo-bere-oppure-no-1795454/[3] – Primo Levi Covare il cobra, 11 settembre 1986, in Opere II, Einaudi, Torino 1997 [4]
Il giovane che trovò la Quinoa su una stella…
Tutti abbiamo dei ricordi legati all’infanzia che ci riportano alle nostre radici più autentiche.
Per questo motivo voglio riferire ai lettori di Aruntam il racconto di Mariela che spero aiuterà a comprendere quanto siano importanti alcuni alimenti, per noi italiani “nuovi” o “esotici”, nella cultura e nelle tradizioni di altri paesi.
Per parlarvi dell’importanza della Quinoa nella mia vita, vorrei raccontarvi una esperienza della mia infanzia.
Come molti di voi sanno, i bambini tendono ad avere una certa preferenza per alcuni alimenti, rifiutandone altri: io in particolare non volevo mangiare la Quinoa.
Mia nonna, con cui ho passato tantissimo tempo da piccola, preparava numerosi piatti a base di Quinoa e amava ripetere che era un alimento eccellente che ci avrebbe fatto diventare forti e sani.
Provava in mille modi a convincere me e i miei cugini a mangiare la zuppa di Quinoa con patate e maiale. Preparava anche per colazione una “colada”, una bevanda dolce e calda a base di Quinoa a cui a volte aggiungeva l’uva passa, oppure i biscotti fatti con la farina di Quinoa.
Mia nonna provava a convincermi in tutti i modi. Una volta le è sfuggito che la zuppa era fatta di vermicelli (vista la forma della Quinoa una volta cotta in brodo) e questo, invece di motivarmi a mangiare, mi aveva molto spaventato.
Tutto questo durò fino a quando, durante un fine settimana, mia nonna preparò per il marito una bella zuppa di Quinoa e mio nonno, disturbato dalle nostre facce disgustate, ci sgridò e aggiunse che avremmo dovuto mangiare la Quinoa volentieri perché, se lo avessimo fatto, ci avrebbe ricompensato con una bella favola.
Noi, incuriositi, mangiammo velocemente la nostra zuppa e il nonno, come promesso, ci raccontò questa storia che non ho mai dimenticato.
Si dice che una volta, tanti anni fa, al tempo dei nostri antenati Inca, un bambino fin dalla tenera età si occupasse di sorvegliare gli orti: Las Chacras.
Il bambino cresceva nei campi e, diventato giovane, venne incaricato di custodire Las Chacras di notte per evitare che qualcuno rubasse i prodotti.
A volte il giovane andino si sdraiava sul prato per osservare le stelle e fu così che, una sera, notò una fulgida stella dorata il cui splendore lo conquistò.
Da quel momento ogni sera il ragazzo sognava di stare vicino alla sua amatissima stella.
Una notte, una di quelle in cui il cielo è più limpido delle altre, il giovane affascinato dalla visione della sua stella concentrò lo sguardo nel cielo e vide scendere dall’alto, a grande velocità, un gigantesco Condor, che si avvicinò a lui e lo invitò a salire a cavalcioni sul suo dorso.
Il ragazzo eccitato non se lo fece ripetere e immediatamente il Condor iniziò a volare sempre più in alto, fino a quando raggiunsero la stella più bella del firmamento: una meravigliosa stella dorata ricoperta da immensi campi di Quinoa.
Il giovane curioso correva entusiasta tra i rami di Quinoa sorpreso da questa nuova e strana pianta.
La stella felice accolse con gioia il giovanotto dell’altopiano andino che l’aveva ammirata dalla terra ogni notte, e gli offrì subito il suo cibo. Fu così che lui assaggiò per la prima volta la Quinoa.
La stella gli rivelò i grandi poteri di questo alimento. Per qualche tempo il giovane rimase ad abitare sulla meravigliosa stella, scoprendo che ogni giorno diventava un uomo più agile e intelligente.
Decise di chiedere alla stella di donargli il suo cibo prezioso da condividere con gli esseri umani.
La stella, che si era innamorata del ragazzo andino, acconsentì alla nobile richiesta e gli permise di tornare sulla terra con i semi di Quinoa.
Il giovane tornò al suo popolo e immediatamente seminò la Quinoa. Da quel momento la Quinoa diventò parte della dieta degli Incas. Capirono subito l’alto valore nutritivo dell’alimento e come consumarlo perché li faceva diventare più forti e più sani.
Si dice che gli Incas ringraziassero la preziosa stella per questo generoso dono offrendo sacrifici, e che il ragazzo ogni sera si sdraiasse nel campo per contemplare la sua adorata bellezza.
Questa è la storia che mio nonno mi raccontò, come aveva fatto suo nonno con lui, e così via via indietro nel tempo, e con la quale riuscì a farmi apprezzare le pietanze deliziose preparate con la Quinoa da mia nonna.
Quando avrò i miei bambini racconterò anche a loro questa storia.
Forse è vera, o forse è solo un mito… ma di certo c’è il potere generoso di questo alimento.
Mariela